Fattore G: ovvero come il mondo gay influenza i maggiori brand di moda
Oggi la connessione tra moda e mondo gay è notoria e conclamata, ma tutt’ora definita dal suo aspetto più superficiale ed empirico: la quantità di omosessuali presenti nel mondo della moda, dai fashion designer in giù, e l’interesse che in genere riveste la moda per gli omosessuali.
E’ possibile approfondire questa analisi? è sempre stato così? E quali sono i motivi profondi di questo intreccio oltre alla generica proverbiale e forse leggendaria “creatività” gay”? la moda concorre alla causa dell’emancipazione omosessuale ? Quali i protagonisti che hanno aperto la strada?Quali i brand più influenti nell’immaginario gay, e quali, viceversa, quelli più influenzati dalla subcultura omosessuale?
Queer Style: From the Closet to the Catwalk è il titolo della mostra che aprirà i battenti nel settembre del 2013 nel Museo del Fashion Institute of Technology, di NY, fucina di talenti come ad esempio Tom Ford e che cercherà di rispondere a questi interrogativi ripercorrendo oltre un secolo di storia di modelli disegnati da designer omosessuali delle più grandi case di moda.
L’autrice – curatrice della mostra si chiama Valerie Steele e la sua tesi di dottorato in sociologia della moda riguardava gli “aspetti erotici nella moda Vittoriana”.
Dopo aver insegnato in alcune università americane, tra cui New York e Columbia University, Valerie ha allestito diverse mostre su aspetti tematici legati alla moda, come la corsetteria o la moda giapponese, per approdare alla moda queer perchè “a parte una mostra in Svizzera intitolata Gay Chic ed un’altra presso il centro LGBT di Los Angeles il tema non era mai stato affrontato”.
Secondo Valerie stilisti come “Alexander Mac Queen, Yves Saint Laurent, Gianni Versace, Jean Paul Gautier, Rudi Genreich, hanno contribuito in modo determinante a definire l’estetica gay”.
La mostra mette in luce aspetti storici veramente interessanti: ad esempio pochi sanno che la moda maschile “sobria” è una reazione, nell’800, alla moda dilagante dei “molly bar” dove gli uomini usavano travestirsi e adornarsi con orpelli e addirittura abiti da donna”. Allo stesso modo furono i dandy alla fine dell’800 a tornare in parte su codici di abbigliamento più ambigui ed estetizzanti.
Un altro capitolo della mostra affronta l’abbigliamento da lavoro come codice queer, dalle uniformi militari e quelle da motociclisti.
In conclusione, secondo l’autrice, emerge con chiarezza gran parte della moda “eterosessuale”, viene determinata da usi e tendenze nate in seno al mondo gay.
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