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Crisi economica e mercati di nicchia: piccolo e profilato è bello.

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crisi del fordismo

“Crisi peggiore di quella del ’29” : la crisi economica che stiamo vivendo in questi giorni evoca scenari apocalittici, ed il fatto che queste valutazioni provengano da fonti tutt’altro che catastrofiste accresce il timore dei mercati.

La crisi del 1929 fu una crisi “sistemica”: non “ciclica” -legata cioè agli alti e bassi fisiologici della macroeconomia-, e non “congiunturale” – causate dalla convergenza di fattori negativi- .

Nel ’29 intero paradigma del corretto equilibrio economico crollò.

Senza avventurarsi in paragoni che richiederebbero competenze molto più approfondite delle mie, e che comunque sono difficilmente percorribili per via della distanza temporale e per la differenza sostanziale tra le conomie di oggi e allora, un punto in comune certamente c’è, ed è proprio nella definizione di crisi sistemica che in entrambi i casi muterà gli orientamenti generali delle politiche economiche.

Una crisi sistemica genera infatti “shift of paradigm”, ovvero mette in discussione le fondamenta stesse delle dottrine economiche. Se allora Maynard Keynes e il presidente Roosvelt decretarono la fine del “laissez faire” di stampo liberista con un forte intervento statale, oggi il presidente Bush interviene pesantemente per acquistare di fatto titoli in pesante caduta e a rischio fallimento.

In discussione è di fatto l’audace gestione finanziaria e speculativa dei capitali, che sostanzialmente trova nel commercio di debiti un modo rapido e veloce di accrescere i capitali, prassi che ha negli Stati Uniti il suo epicentro, e che fortunatamente sembra interessare solo di riflesso l’economica italiana, i cui banchieri, per fortuna, “parlano poco e male l’inglese”, come ha detto Tremonti oggi.

Inglese o non inglese, sempre di crisi globale si tratta, e i suoi riflessi arriveranno anche in Italia; per chi come noi si occupa di comunicazione, non è certo una prospettiva consolante: tra i primi tagli, quando si stringe la cinghia, vi sono solitamente proprio i budget legati a pubblicità ed eventi.

Allo stesso tempo però, la gestione più oculata di budget pubblicitari minori, potrebbe rappresentare la fortuna di mezzi “di nicchia” ed un momento di riflessione dei marketing manager italiani.

Ad esempio a gudagnarci potrebbe essere internet, che pur essendo già cresciuta molto in questi anni, potrebbe veder premiata una capacità di profilazione del target ed un costo contatto che non ha eguali negli altri media.

Non solo: la crisi potrebbe finalmente spingere anche il marketing italiano a ragionare per community, per nicchie, e non più con messaggi a pioggia su una massa indistinta di consumatori (destinazione che ancora oggi ha il 90% dei budget di comunicazione).

La nicchia, la community, permette obietivi in linea col profilo del target, radicamento, passaparola, monitoraggio.

Se poi si tratta di nicchia gay, chi legge questo blog sa che gli eventi e la comunicazione in questo ambito, garantiscono un dialogo con consumatori dalle caratteristiche socioeconomiche di eccezione: proprio gli Stati Uniti, tanto conservatori sui alcuni valori anche sessuali quanto laici quando si tratta di business (come dimostra anche la versione “bolscevica” di Mr president Bush in tempi di crisi), il “pink dollar” vale oggi 800 mliardi di dollari annui circa, e 25 delle prime 100 aziende quotate in borsa effettuano con regolarità questo tipo di investimenti.

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